Il nome

Ci teniamo particolarmente all’11 dopo Giunchiglia, sia per questioni di cabala (formalmente siamo nati l’1/11 del 2011), sia perché la nostra associazione non deve il suo nome al bulbo dal fiore giallo, ma al protagonista di Comica finale, Wilbur Giunchiglia-11 Swain.

Scritto da Kurt Vonnegut nel 1976, Comica finale è un romanzo talmente bizzarro da risultare alquanto complicato riassumerne la trama. Ma ci proviamo.

Wilbur ed Eliza Swain, fratelli gemelli, sono due freaks, due scherzi di natura così stupidi e deformi che alla nascita i genitori decidono di nasconderli al mondo e di farli crescere nell’isolamento dorato della lussuosa villa di famiglia. Ma la loro idiozia è solo apparente. Unendosi telepaticamente, Wilbur (la parte razionale e logica) ed Eliza (la parte emotiva e creativa) sono in grado di creare una nuova mente, potentissima e geniale. 

Quando i due ragazzini decidono di rivelare la verità della loro natura, il mondo “perfetto” nel quale avevano vissuto fino ad allora crolla inesorabilmente.

Dopo aver tentato invano di curarli e rieducarli, gli adulti che hanno intorno, genitori, psicologi ed esperti di varia natura, decidono di separare i due fratelli. Eliza, analfabeta e incolta, viene reclusa in un ospedale psichiatrico, Wilbur, considerato l’intelligente della coppia, fa carriera come medico e come politico, fino a diventare presidente degli Stati Uniti. 

Il tempo della narrazione parte da qui: il libro è una sorta di autobiografia di Wilbur che, ormai vecchio e disilluso, racconta la storia della sua vita e del crollo della civiltà americana decimata da una nuova epidemia, la cui origine viene collegata all’avanzare dell’impero cinese. Vi ricorda qualcosa?

Nella loro divina idiozia i due ragazzini elaborano un piano per contrastare quella che considerano l’origine di tutti i mali della società: la solitudine. “Non più soli”, sottotitolo del libro, diventerà lo slogan e il programma elettorale con cui Wilbur vincerà le elezioni presidenziali, programma che prevede la creazione di grandi famiglie artificiali determinate non dall’appartenenza allo stesso sangue, a uno stesso ceto, uno stesso gruppo di potere o corporazione, ma da un nome e un numero intermedi scelti a caso da un cervellone elettronico. In questo modo diventeranno nuovi “cugini” tutti quelli accomunati dallo stesso nome intermedio, per esempio “giunchiglia”, e fratelli quelli con lo stesso nome e numero, ad esempio “giunchiglia-11”. E l’invenzione di Wilbur ed Eliza sembra funzionare… 

Diceva che non c’era nulla di nuovo, in America, sulle famiglie allargate artificiali. I medici si sentivano legati agli altri medici, gli avvocati agli avvocati, gli scrittori agli scrittori, gli atleti agli atleti, i politici ai politici, e così via.

Io ed Eliza dicevamo, però, che questi erano cattivi esempi di famiglie allargate. “La famiglia allargata ideale”, avevamo scritto io ed Eliza tanto tempo prima, “dovrebbe dare una rappresentanza proporzionale agli americani di ogni genere, compresi bambini, vecchi, casalinghe, secondo il loro numero. La creazione di diecimila di queste famiglie, diciamo, doterebbe l’America, per così dire, di diecimila parlamenti, che discuterebbero con sincerità e competenza di ciò di cui oggi discutono con passione solo pochi ipocriti, cioè del benessere di tutta l’umanità.

Delle famiglie normali non possiamo forse farne a meno, sembra suggerire Kurt Vonnegut, così come delle istituzioni, con i loro effetti collaterali e le loro galere di varia natura. Certo, se tra le une e le altre ci fossero in mezzo organizzazioni come quelle ipotizzate da Eliza e Wilbur…

Lo scrittore americano Kurt Vonnegut

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